Sahara Adventures

SAHARA  ADVENTURES 

 
di Marco Chifari
 
 
Negli anni 30, con base al Cairo, una schiera formata da avventurieri, archeologi, ufficiali ma anche semplicemente curiosi, si interessò e dedicò letteralmente al deserto, al suo fascino ed alla sua cultura, ai popoli che vi abitavano ma sopratutto a coloro che lo avevano abitato nei millenni passati, ma anche agli ad usi e costumi dei locali e di chi aveva deciso di passarvi la vita, per passione o per dovere.
Il deserto non è affatto una landa desolata come potrebbe apparire a prima vista, chi lo conosce, chi vi passa almeno una notte o comunque ha a che fare questo luogo, non lo dimentica mai più, nel bene e nel male. 
Sull'onda emozionale delle vicende di personaggi del livello di László Almásy, lo scopritore di importanti siti archeologici sul Jebel Uweinat o di Ralph Alger Bagnold   che fu l'inventore dei L.r.d.g. o del principe Kamal el Dine Hussein che si avventurò in pieno Sahara con dei semicingolati e persino del nostro Paolo Caccia Dominioni, è sin troppo facile lasciarsi affascinare dal deserto e altrettanto lo è approfondire l'argomento grazie alla copiosa bibliografia specializzata. Ma attraversandolo, verrebbe naturale scrutare l'orizzonte nel tentativo di scorgere la mitica città di Zerzura, il vero "oggetto del desiderio" di una generazione di avventurieri, non l'unica per la verità, che non fu in grado, malgrado gli sforzi, di trovare "l'atlantide del deserto", sia pure fondando una società al Cairo appositamente ad essa dedita, nota sotto il nome di "Zerzura Club". Per noi modellisti, razzolare in un paniere così ricco è senza dubbio affascinante e resistere alla voglia di realizzare un'opera che si ispiri, sia pur liberamente, alle note vicende, potrebbe facilmente contagiare chiunque. A me è successo ed è stata un'esperienza intensa. 
Qualche anno fa mi capitò tra le mani un modello die-cast di una vettura Hudson del 1932, mi colpì immediatamente l'assoluta compatibilità di misure e proporzioni nell'avvicinarla ai figurini in scala 1:35 e quindi la misi da parte per un futuro utilizzo. All'epoca non potevo immaginare cosa ne avrei fatto, vinte le mie stesse resistenze per l'inusuale approccio con un die-cast, pensavo più che altro ad un utilizzo di tipo convenzionale, magari ambientandola, previo stravolgimento e superdettaglio, in una base in territorio americano, magari accanto a soggetti militari o ancor meglio in un diorama di contesto civile. Quando nell'inverno del 2014 mi venne l'idea di farla diventare una desert-car degli anni 30, mi resi conto che le possibilità erano praticamente infinite. Dovevo solamente inventare una storia, studiare una collocazione credibile e mettermi al lavoro tenendo in conto alcuni fattori: 1) queste vetture desertiche erano spesso veicoli standard pesantemente modificati e adattati all'ambiente ostile in cui avrebbero dovuto operare; 2) le stesse erano preparate da officine specializzate che le equipaggiavano per trasportare grandi quantità di acqua, carburante e almeno due treni di gomme; 3) rendere appetitoso un soggetto civile, rendendolo gradevole agli occhi dei modellisti di veicoli militari; 4) cercare di conferire all'insieme il giusto spirito, l'atmosfera e l'aspetto corretto del contesto cui mi stavo rivolgendo, credo infine di esservi riuscito.
Dopo aver letto "Sahara Sconosciuto" di Almásy, iniziai ad approfondire l'argomento delle grandi esplorazioni eseguite in quegli anni, scoprendo un mondo che in una certa misura ignoravo, affascinante per il coraggio dei protagonisti e non meno interessante delle vicende belliche che in più occasioni e guerre, attraversarono quei luoghi, si trattava di una vera e propria epopea, poco nota ai più.
Anni fa, il film "Il paziente inglese" aveva fatto conoscere alle grandi masse la faccia meno interessante delle esplorazioni del Sahara, privilegiando l’aspetto romanzato della vicenda, sia pur stravolta e adattata. Era giunto per me il momento di approfondire l'argomento, ed oltre a leggere tutto quello che mi capitava a tiro, mi misi alla ricerca delle foto più significative, le trovai e ne trassi ispirazione.
La storia che scelsi era semplice e d'effetto: due archeologi sono in giro nel deserto ed incrociano delle rovine in territorio egiziano, si fermano risalendo il fianco di una duna, proprio accanto a quella che dovrebbe essere il limite di un oasi, piccole palme ne testimoniano la presenza e i due uomini che scendono dal veicolo e si accingono ad esaminare i reperti.
Mi misi all'opera e innanzi tutto, smontai il modello eliminando circa il 60% del materiale originale, poi iniziai a stilare una lista pezzi per stabilire di cosa avessi bisogno ed infine progettai la scena. disegnando le posture dei figurini che avrebbero fatto da contorno al veicolo, vero protagonista della scena. L'operazione riguardante i figurini mi vedeva optare per il montaggio di pezzi multiposa in plastica, adeguatamente modificati e di varia provenienza, corredati da teste Hornet e Verlinden. Il terreno prevedeva un dislivello ad “S” ed con una piccola palma e dei reperti archeologici affioranti dalla sabbia. Iniziai a lavorare.
Dopo aver eliminato gran parte della dotazione standard del veicolo, rimisi insieme le componenti fondamentali dello scafo, motore (spartano ma corretto nei volumi) compreso e cominciai a studiare le posture dei figurini, decisi che uno sarebbe rimasto a bordo del veicolo e l'altro avrebbe fatto un giro attorno al mezzo, lasciando impronte profonde nella sabbia. Il vano motore era la parte più impegnativa, mi misi alla ricerca delle foto dello stesso e ne trovai un paio di altrettanti esemplari, peraltro molto modificati rispetto alla versione originale, riuscii comunque a mettere insieme il motore, poi passai a riprogettare l'abitacolo, optando per l'utilizzo delle sellerie originali che erano ben stampate. 
I due ampi predellini consentivano di collocarvi casse e taniche, esattamente com'era d'uso all'epoca, quindi iniziai a reperire accessori adatti allo scopo ma la cosa che saltava agli occhi era l'evidente inadeguatezza delle ruote in dotazione, poco adatte al deserto. Disponevo di un treno di una sahariana in scala 1-50, mi resi conto che tali ruote erano assai più adatte e le montai sui cerchioni originali, pur mantenendo le gomme in dotazione, tra i carichi aggiuntivi del veicolo, considerando che spesso venivano sostituite a seconda del tipo di terreno che si trovava.
Cominciai a studiare che tipo di parabrezza montare sul veicolo, l'originale era troppo giocattoloso e decisi di sostituirlo con uno autocostruito con acetato bandelle metalliche e rivetti, poi cominciai a riprogettare sospensioni e dotazioni del vano motore. 
Subito dopo misi le mani al sedile posteriore ribaltabile, doveva diventare necessariamente un cassone per contenere materiali e conferire un aspetto più interessante all'insieme. A questo punto costruii le sospensioni recuperando le balestre da vecchie referenze Italeri e poi, con l'ausilio di listelli in legno, creai un cassone che incorporasse tutta la parte posteriore del veicolo, il cassone era stato costruito, lo migliorai aggiungendo dei rivettoni in plastica, così come osservato su veicoli veri.
Ricostruii anche l'abitacolo rifacendo i comandi e recuperando e adattando un volante di una Jeep, vi collocai anche un volantino di chiusura del carburante e tutte le dotazioni necessarie, compresa una cassetta del pronto soccorso ed un fucile Lee Enfield. 
A questo punto sagomai il terreno creando i volumi in polistirolo, lo rifilai e lo collocai in una cornice in legno, poi incisi i punti di contatto tra terreno, auto e altri materiali che avrei posato a terra.
Prima di costruire il vano motore, decisi che avrei portato via i cofani per favorire il raffreddamento dello stesso, così come era d'uso all'epoca, lasciando il bel radiatore di serie, a far mostra di se. Nel frattempo avevo provveduto a fasciare il polistirolo di una bella impiallacciatura di mogano.
Iniziai a correggere e dettagliare il motore con filo di metallo, tubicini e parti di natura estremamente eterogenea, al fine di ricreare il più fedelmente possibile, tutte le parti fondamentali, misi mano anche ai parafanghi e all'anteriore decisi di aggiungere due antenne di ingombro, callettandovi degli innesti in metallo per unirvele. Partendo da due calotte di faro di una Jeep opportunamente modificate, unii loro due lenti provenienti dalla banca pezzi, vi montai due perni con relativi fori e occhielli sui parafanghi ed un puntone centrale saldato, ricreando stilisticamente l'allestimento originale del mezzo, poi reperii uno specchietto per il conducente. A questo punto urge elencare i pezzi utilizzati per comporre l'abitacolo: parte del cruscotto di una Jeep per gli strumenti, delle pedaliere aeronautiche in 1:72 per freno, frizione e acceleratore, un microoblò ed un pezzo di filo d'ottone per il freno d'arresto, una diversa antenna d'ingombro per ricostruire il cambio, una ruota del timone in 1:144 per il volantino di chiusura, una bandella forata per realizzare un cassetto e legno di noce per i volumi. Realizzavo inoltre dei falsi sportelli in legno e metallo che avrebbero funto da supporti per un tendalino, così come era d'uso all'epoca.
Dopo aver completato l'allestimento del motore, era la volta del tendalino che realizzavo con filo d'ottone saldato e supporti in plastica e metallo. Sceglievo di rappresentarlo privo del tendone che avrei collocato arrotolato accanto, questo per far apprezzare i dettagli del veicolo.
Collegavo poi i fari alla calandra del radiatore, entro la quale passavano i cablaggi  elettrici e modificavo il parafanghi posteriore per adattarlo al cassone. Prima del montaggio definitivo del parafanghi anteriore, irrobustivo il telaio e vi inserivo delle spine metalliche per rendere la struttura più solida.
Iniziavo a costruire i figurini, scegliendo delle pose un pò particolari, l'uomo in piedi lo raffiguravo come per avanzare deciso tra le dune, immaginando l'entusiasmo di un archeologo che sta per fare una scoperta. L'altro uomo, seduto al sedile destro, osserva ripiegandosi le maniche prima di intervenire. Dipingevo  gli stessi successivamente, utilizzando prevalentemente colori acrilici di varie marche e tecniche miste (olii e acrilici) per gli incarnati. 
Realizzavo poi la palmetta, studiando i palmizi giovani e riproducendola con carta, filo metallico e colla per il tronco e alcune foglie fotoincise. Inoltre, disponendo di una vecchia testa di sfinge Atlantic degli anni 70, realizzavo un calco della stessa in ceramica, nonchè un secondo da una zampa di leone, le posizionavo successivamente al lato destro della vettura. Completata questa fase, dipingevo i figurini, una volta assemblati e preparati, in acrilico e li munivo di perno per essere collocati nell'insieme.
A questo punto, effettuavo i montaggi per sottoinsiemi e allestivo tutti i carichi esterni, compreso un contenitore d'olio a fianco al motore come d'uso all'epoca, dipingendoli e preparandoli, poi dipingevo il veicolo scegliendo un giallo sabbia molto bello. Dipingevo la palmetta con oli e acrilici e poi iniziavo a trattare lo scafo con lavaggi ad olio per cominciare a definire i volumi. Trattavo il vano motore e parafanghi con una base alluminio e l'abitacolo con un verde per interni aeronautici.
Successivamente, applicavo diversi lavaggi al vano motore e parafanghi per conferire loro il giusto aspetto e diverse tinte degradanti alle pannellature dello scafo. 
Da una foto di una vettura egiziana del Cairo degli anni 30, prendevo spunto per le targhe e le facevo riprodurre in serigrafia, sia pure con un numero progressivo successivo a quello osservato, pur rispettandone le caratteristiche, poi applicavo il parabrezza allo scafo, le ruote dipinte a parte, le sellerie, casse e barile, il fucile, un estintore, un box porta-mappe, taniche, treni di gomme montati posteriormente e tutti i carichi esterni comprese bottiglie, attrezzi, due caschi coloniali di diversa fattura, binocoli, teiera, tazze e pronto soccorso, lasciando il tendalino mobile.
Preparavo poi una miscela di sabbie di vario spessore, colla vinilica, acqua e colore, effettuavo il montaggio finale colando il terreno direttamente sul polistirolo affondando il veicolo e facendo rapprendere il tutto. Ad asciugatura completa, iniziavo a lavorare le sabbie nelle quali avevo impresso tutte le impronte, così come ho personalmente osservato, camminando su le dune. Specie in prossimità di una certa percentuale di umidità relativa, vicino ad un'oasi o in riva al mare, la sabbia delle dune rimane più compatta ed affondandovi i piedi, gli stessi penetrano  alcuni centimetri, formando impronte nette, talvolta apparentemente tagliate con un coltello.
La scena è pensata per lasciare che l'osservatore possa immaginare il contesto, pertanto la collocazione deve essere intesa come puramente indicativa.
Infine, lucidavo e laccavo la base applicandovi una targa in ottone e dipingevo i particolari immersi nel terreno, fissavo i figurini e rifinivo ad olio il terreno a tinte degradanti.
Concludendo, posso affermare di essermi divertito non poco progettando, costruendo e dipingendo questo lavoro. Penso che non sarà l'ultimo che dedicherò a questo filone.  Il deserto e il suo richiamo stanno già solleticando la mia fantasia.